Rivoluzione: assegno di divorzio, Cassazione: addio al tenore di vita

Rivoluzione: assegno di divorzio, Cassazione: addio al tenore di vita

Assegno di divorzio, Cassazione: addio al "tenore di vita"
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Prima Civile
Sentenza 10 maggio 2017, n. 11504
Presidente Di Palma
Relatore Lamorgese Fatti di causa
1. - Il Tribunale di Milano ha dichiarato lo scioglimento del matrimonio, contratto nel
1993, tra Vi.Gr.. e Li. Ca. Lo. ed ha respinto la domanda di assegno divorzile proposta da
quest´ultima.
2. - Il gravame della Lo. è stato rigettato dalla Corte d´appello di Milano, con sentenza 27
marzo 2014.
2.1. - La Corte, avendo ritenuto che il luogo di residenza della Lo. (convenuta nel giudizio)
fosse a (omissis...), ha rigettato l´eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di
Milano, a favore del Tribunale di Roma, ove era la residenza o il domicilio del ricorrente
Gr., da essa sollevata sul presupposto della propria residenza all´estero, a norma dell´art. 4,
comma 1, della legge 1. dicembre 1970, n. 898; ha ritenuto poi non dovuto l´assegno
divorzile in favore della Lo., non avendo questa dimostrato l´inadeguatezza dei propri
redditi ai fini della conservazione del tenore di vita matrimoniale, stante l´incompletezza
della documentazione reddituale da essa prodotta, in una situazione di fatto in cui l´altro
coniuge aveva subito una contrazione reddituale successivamente allo scioglimento del
matrimonio.
3. - Avverso questa sentenza la Lo. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro
motivi, cui si è opposto il Gr. Con controricorso. Le parti hanno presentato memorie ex art.
378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. - Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione dell´art. 4, comma 1,
della legge n. 898 del 1970, per avere la Corte d´appello affermato la competenza per
territorio del Tribunale di Milano, essendo invece competente il Tribunale di Roma, ove
era la residenza o il domicilio del ricorrente Gr., essendo la convenuta residente all´estero.
1.1. - Il motivo è infondato.
Premesso che, contrariamente a quanto sostenuto dal Gr., la questione della competenza è
stata riproposta in appello e che su di essa, quindi, non si è formato il giudicato, la sentenza
impugnata ha ragionevolmente valorizzato quanto dichiarato dalla Lo. (convenuta nel
giudizio) nell´atto di appello, e in altri atti giudiziari, circa la sua residenza a (omissis...)
(Mi), che corrispondeva a quanto risultava dalle certificazioni anagrafiche, giudicando
irrilevante la diversa indicazione, resa all´udienza presidenziale, di essere residente a
(omissis...), luogo quest´ultimo rientrante pur sempre nella competenza del Tribunale di
Milano; inoltre, ha adeguatamente argomentato in ordine alla mancanza di prova della
residenza all´estero della Lo., ritenendo inidonea a tal fine la mera disponibilità da parte
della medesima di un´abitazione negli Stati Uniti.
La decisione impugnata è, pertanto, conforme al principio enunciato da questa Corte - che
va ribadito -, secondo cui la domanda di scioglimento del matrimonio civile o di
cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario va proposta, ai sensi dell´art. 4,
comma 1, della legge n. 898 del 1970 (nel testo introdotto dall´art. 2, comma 3-bis, del d.l.
14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge, con modificazioni, dall´art. 1, comma 1, della
legge 14 maggio 2005, n. 80), quale risultante a seguito della dichiarazione di illegittimità
costituzionale (sentenza n. 169 del 2008), al tribunale del luogo di residenza o domicilio
del coniuge convenuto, salva l´applicazione degli ulteriori criteri previsti in via subordinata
dalla medesima norma (Cass. ord. n. 15186 del 2014).
2. - Con il secondo motivo la Lo. ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell´art.
5, comma 6, legge n. 898/1970, per avere la Corte milanese negato il suo diritto all´assegno
sulla base della circostanza che lo stesso Gr. non avesse mezzi adeguati per conservare
l´alto tenore di vita matrimoniale, dando rilievo decisivo alla riduzione dei suoi redditi
rispetto all´epoca della separazione, mentre avrebbe dovuto prima verificare la
indisponibilità, da parte dell´ex coniuge richiedente, di mezzi adeguati a conservare il
tenore di vita matrimoniale o la sua impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
Con il terzo motivo la Lo. ha denunciato vizio di motivazione, per avere omesso di
considerare elementi probatori rilevanti al fine di dimostrare la sussistenza del diritto
all´assegno.
Con il quarto motivo la ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c,
per avere i giudici di merito escluso il diritto all´assegno, disconoscendo la rilevanza della
sperequazione tra le situazioni reddituali e patrimoniali degli ex coniugi e dando
erroneamente rilievo agli accordi raggiunti in sede di separazione che, al contrario,
indicavano la disparità economica tra le parti e la mancanza di autosufficienza economica
della Lo..
2.1. - Tali motivi sono infondati.
Si rende, tuttavia, necessaria, ai sensi dell´art. 384, quarto comma, cod. proc. civ., la
correzione della motivazione in diritto della sentenza impugnata, il cui dispositivo - come
si vedrà (cfr. infra, sub n. 2.6) - è conforme a diritto, in base alle considerazioni che
seguono.
Una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla
trascrizione del matrimonio religioso - sulla base dell´accertamento giudiziale, passato in
giudicato, che «la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta
o ricostituita per l´esistenza di una delle cause previste dall´articolo 3» (cfr. artt. 1 e 2, mai
modificati, nonché l´art. 4, commi 12 e 16, della legge n. 898 del 1970) -, il rapporto
matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, i
quali devono perciò considerarsi da allora in poi "persone singole", sia dei loro rapporti
economico-patrimoniali (art. 191, comma 1, cod. civ.) e, in particolare, del reciproco
dovere di assistenza morale e materiale (art. 143, comma 2, cod. civ.), fermo ovviamente,
in presenza di figli, l´esercizio della responsabilità genitoriale, con i relativi doveri e diritti,
da parte di entrambi gli ex coniugi (cfr. artt. 317, comma 2, e da 337-bis a 337-octies cod.
civ.).
Perfezionatasi tale fattispecie estintiva del rapporto matrimoniale, il diritto all´assegno di
divorzio - previsto dall´art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, nel testo sostituito
dall´art. 10 della legge n. 74 del 1987 - è condizionato dal previo riconoscimento di esso in
base all´accertamento giudiziale della mancanza di «mezzi adeguati» dell´ex coniuge
richiedente l´assegno o, comunque, dell´impossibilità dello stesso «di procurarseli per
ragioni oggettive».
La piana lettura di tale comma 6 dell´art. 5 - «Con la sentenza che pronuncia lo
scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto
delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed
economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di
ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi
anche in rapporto alla durata del matrimonio dispone l´obbligo per un coniuge di
somministrare periodicamente a favore dell´altro un assegno quando quest´ultimo non ha
mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive» - mostra con
evidenza che la sua stessa "struttura" prefigura un giudizio nitidamente e rigorosamente
distinto in due fasi, il cui oggetto è costituito, rispettivamente, dall´eventuale
riconoscimento del diritto (fase dell´an debeatur) e - solo all´esito positivo di tale prima
fase - dalla determinazione quantitativa dell´assegno (fase del quantum debeatur).
La complessiva ratio dell´art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 (diritto condizionato
all´assegno di divorzio e - riconosciuto tale diritto -determinazione e prestazione
dell´assegno) ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di «solidarietà
economica» (art. 2, in relazione all´art. 23, Cost.), il cui adempimento è richiesto ad
entrambi gli ex coniugi, quali "persone singole", a tutela della "persona" economicamente
più debole (cosiddetta "solidarietà post-coniugale"): sta precisamente in questo duplice
fondamento costituzionale sia la qualificazione della natura dell´assegno di divorzio come
esclusivamente "assistenziale" in favore dell´ex coniuge economicamente più debole (art. 2
Cost.) - natura che in questa sede va ribadita -, sia la giustificazione della doverosità della
sua «prestazione» (art. 23 Cost.).
Sicché, se il diritto all´assegno di divorzio è riconosciuto alla "persona" dell´ex coniuge
nella fase dell´an debeatur, l´assegno è "determinato" esclusivamente nella successiva fase
del quantum debeatur, non già "in ragione" del rapporto matrimoniale ormai
definitivamente estinto, bensì "in considerazione" di esso nel corso di tale seconda fase
(cfr. l´incipit del comma 6 dell´art. 5 cit: «[....] il tribunale, tenuto conto [....]»), avendo lo
stesso rapporto, ancorché estinto pure nella sua dimensione economico-patrimoniale,
caratterizzato, anche sul piano giuridico, un periodo più o meno lungo della vita in comune
(«la comunione spirituale e materiale») degli ex coniugi.
Deve, peraltro, sottolinearsi che il carattere condizionato del diritto all´assegno di divorzio
- comportando ovviamente la sua negazione in presenza di «mezzi adeguati» dell´ex
coniuge richiedente o delle effettive possibilità «di procurarseli», vale a dire della
"indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso - comporta altresì che, in carenza
di ragioni di «solidarietà economica», l´eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe
in una locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della "mera
preesistenza" di un rapporto matrimoniale ormai estinto, ed inoltre di durata
tendenzialmente sine die: il discrimine tra «solidarietà economica» ed illegittima
locupletazione sta, perciò, proprio nel giudizio sull´esistenza, o no, delle condizioni del
diritto all´assegno, nella fase dell´an debeatur.
Tali precisazioni preliminari si rendono necessarie, perché non di rado è dato rilevare nei
provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto l´assegno di divorzio una indebita
commistione tra le due "fasi" del giudizio e tra i relativi accertamenti che, essendo invece
pertinenti esclusivamente all´una o all´altra fase, debbono per ciò stesso essere effettuati
secondo l´ordine progressivo normativamente stabilito.
2.2. - Tanto premesso, decisiva è, pertanto - ai fini del riconoscimento, o no, del diritto
all´assegno di divorzio all´ex coniuge richiedente -, l´interpretazione del sintagma
normativo «mezzi adeguati» e della disposizione "impossibilità di procurarsi mezzi
adeguati per ragioni oggettive" nonché, in particolare e soprattutto, l´individuazione
dell´indispensabile "parametro di riferimento", al quale rapportare l’"adeguatezzainadeguatezza"
dei «mezzi» del richiedente l´assegno e, inoltre, la "possibilitàimpossibilità"
dello stesso di procurarseli.
Ribadito, in via generale - salve le successive precisazioni (v., infra, n. 2.4) -, che grava su
quest´ultimo l´onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni cui è subordinato il
riconoscimento del relativo diritto, è del tutto evidente che il concreto accertamento, nelle
singole fattispecie, dell’adeguatezza-inadeguatezza" di «mezzi» e della "possibilitàimpossibilità"
di procurarseli può dar luogo a due ipotesi: 1) se l´ex coniuge richiedente
l´assegno possiede «mezzi adeguati» o è effettivamente in grado di procurarseli, il diritto
deve essergli negato tout court; 2) se, invece, lo stesso dimostra di non possedere «mezzi
adeguati» e prova anche che «non può procurarseli per ragioni oggettive», il diritto deve
essergli riconosciuto.
È noto che, sia prima sia dopo le fondamentali sentenze delle Sezioni Unite nn. 11490 e
11492 del 29 novembre 1990 (cfr. ex plurimis, rispettivamente, le sentenze nn. 3341 del
1978 e 4955 del 1989, e nn. 11686 del 2013 e 11870 del 2015), il parametro di riferimento
- al quale rapportare l’adeguatezza-inadeguatezza" dei «mezzi» del richiedente - è stato
costantemente individuato da questa Corte nel «tenore di vita analogo a quello avuto in
costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su
aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio»
(così la sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990, pag. 24).
Sull´attuale rilevanza del "tenore di vita matrimoniale", come parametro "condizionante" e
decisivo nel giudizio sul riconoscimento del diritto all´assegno, non incide - come risulterà
chiaramente alla luce delle successive osservazioni - la mera possibilità di operarne in
concreto un bilanciamento con altri criteri, intesi come fattori di moderazione e
diminuzione di una somma predeterminata in astratto sulla base di quel parametro.
A distanza di quasi ventisette anni, il Collegio ritiene tale orientamento, per le molteplici
ragioni che seguono, non più attuale, e ciò lo esime dall´osservanza dell´art. 374, terzo
comma, cod. proc. civ.
A) Il parametro del «tenore di vita» - se applicato anche nella fase dell´an debeatur - collide
radicalmente con la natura stessa dell´istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici:
infatti, come già osservato (supra, sub n. 2.1), con la sentenza di divorzio il rapporto
matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale -
a differenza di quanto accade con la separazione personale, che lascia in vigore, seppure in
forma attenuata, gli obblighi coniugali di cui all´art. 143 cod. civ. -, sicché ogni riferimento
a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo -sia pure limitatamente alla
dimensione economica del "tenore di vita matrimoniale" ivi condotto - in una indebita
prospettiva, per così dire, di "ultrattività" del vincolo matrimoniale.
Sono oltremodo significativi al riguardo: 1) il brano della citata sentenza delle Sezioni
Unite n. 11490 del 1990, secondo cui «[....] è utile sottolineare che tutto il sistema della
legge riformata [....] privilegia le conseguenze di una perdurante [....] efficacia sul piano
economico di un vincolo che sul piano personale è stato disciolto [....]» (pag. 38); 2)
l´affermazione della "funzione di riequilibrio" delle condizioni economiche degli ex
coniugi attribuita da tale sentenza all´assegno di divorzio: «[....] poiché il giudizio sull´an
del diritto all´assegno è basato sulla determinazione di un quantum idoneo ad eliminare
l´apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche del coniuge che, in via di
massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio [....], è
necessaria una determinazione quantitativa (sempre in via di massima) delle somme
sufficienti a superare l´inadeguatezza dei mezzi dell´avente diritto, che costituiscono il
limite o tetto massimo della misura dell´assegno» (pagg. 24-25: si noti l´evidente
commistione tra gli oggetti delle due fasi del giudizio).
B) La scelta di detto parametro implica l´omessa considerazione che il diritto all´assegno di
divorzio è eventualmente riconosciuto all´ex coniuge richiedente, nella fase dell´an
debeatur, esclusivamente come "persona singola" e non già come (ancora) "parte" di un
rapporto matrimoniale ormai estinto anche sul piano economico-patrimoniale, avendo il
legislatore della riforma del 1987 informato la disciplina dell´assegno di divorzio, sia pure
per implicito ma in modo inequivoco, al principio di "autoresponsabilità" economica degli
ex coniugi dopo la pronuncia di divorzio.
C) La "necessaria considerazione", da parte del giudice del divorzio, del preesistente
rapporto matrimoniale anche nella sua dimensione economico-patrimoniale («[....] il
tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del
contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla
formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e
valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio [....]») è
normativamente ed esplicitamente prevista soltanto per l´eventuale fase del giudizio avente
ad oggetto la determinazione dell´assegno (quantum debeatur), vale a dire - come già
sottolineato - soltanto dopo l´esito positivo della fase precedente (an debeatur), conclusasi
cioè con il riconoscimento del diritto all´assegno.
D) Il parametro del «tenore di vita» induce inevitabilmente ma inammissibilmente, come
già rilevato (cfr., supra, sub n. 2.1), una indebita commistione tra le predette due "fasi" del
giudizio e tra i relativi accertamenti.
È significativo, al riguardo, quanto affermato dalle Sezioni Unite, sempre nella sentenza n.
11490 del 1990: «[....] lo scopo di evitare rendite parassitarie ed ingiustificate proiezioni
patrimoniali di un rapporto personale sciolto può essere raggiunto utilizzando in maniera
prudente, in una visione ponderata e globale, tutti i criteri di quantificazione supra descritti,
che sono idonei ad evitare siffatte rendite ingiustificate, nonché a responsabilizzare il
coniuge che pretende l´assegno, imponendogli di attivarsi per realizzare la propria
personalità, nella nuova autonomia di vita, alla stregua di un criterio di dignità sociale
[....]».
E) Le menzionate sentenze delle Sezioni Unite del 1990 si fecero carico della necessità di
contemperamento dell´esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio
«inteso come "sistemazione definitiva", perché il divorzio è stato assorbito dal costume
sociale» (così la sentenza n. 11490 del 1990) con l´esigenza di non turbare un costume
sociale ancora caratterizzato dalla «attuale esistenza di modelli di matrimonio più
tradizionali, anche perché sorti in epoca molto anteriore alla riforma», con ciò spiegando la
preferenza accordata ad un indirizzo interpretativo che «meno traumaticamente rompe[sse]
con la passata tradizione» (così ancora la sentenza n. 11490 del 1990). Questa esigenza,
tuttavia, si è molto attenuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmente condiviso
nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di
autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in
quanto tale dissolubile (matrimonio che - oggi - è possibile "sciogliere", previo accordo,
con una semplice dichiarazione delle parti all´ufficiale dello stato civile, a norma dell´art.
12 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge, con modificazioni, dall´art. 1,
comma 1, della legge 10 novembre 2014, n. 162).
Ed è coerente con questo approdo sociale e legislativo l´orientamento di questa Corte,
secondo cui la formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge beneficiario
dell´assegno divorzile è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si
caratterizza per l´assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto e,
quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale da parte dell´altro coniuge, il
quale non può che confidare nell´esonero definitivo da ogni obbligo (cfr. le sentenze nn.
6855 del 2015 e 2466 del 2016). In proposito, un´interpretazione delle norme sull´assegno
divorzile che producano l´effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della
recisione degli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale, può tradursi in un
ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del
primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell´individuo (cfr. Cass.
n. 6289/2014) che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla Cedu (art. 12) e dalla Carta dei
diritti fondamentali dell´Unione Europea (art. 9). Si deve quindi ritenere che non sia
configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell´ex coniuge a conservare
il tenore di vita matrimoniale. L´interesse tutelato con l´attribuzione dell´assegno divorzile -
come detto - non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il
raggiungimento della indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione
- esclusivamente - assistenziale dell´assegno divorzile.
F) Al di là delle diverse opinioni che si possono avere sulla rilevanza ermeneutica dei
lavori preparatori della legge n. 74 del 1987 (che inserì nell´art. 5 il fondamentale
riferimento alla mancanza di "mezzi adeguati" e alla "impossibilità di procurarseli") in
senso innovativo (come sosteneva una parte della dottrina che imputava alla
giurisprudenza precedente di avere favorito una concezione patrimonialistica della
condizione coniugale) o sostanzialmente conservativo del precedente assetto (si legga in
tal senso il brano della sentenza delle Sezioni Unite n. 11490/1990 che considerava non
giustificato «l´abbandono di quella parte dei criteri interpretativi adottati in passato per il
giudizio sull´esistenza del diritto all´assegno»), non v´è dubbio che chiara era la volontà del
legislatore del 1987 di evitare che il giudizio sulla "adeguatezza dei mezzi" fosse riferito
«alle condizioni del soggetto pagante» anziché «alle necessità del soggetto creditore»: ciò
costituiva «un profilo sul quale, al di là di quelle che possono essere le convinzioni
personali del relatore, qui irrilevanti, si è realizzata la convergenza della Commissione»
(cfr. intervento del relatore, sen. N. Lipari, in Assemblea del Senato, 17 febbraio 1987, 561
sed. pom., resoconto stenografico, pag. 23). Nel giudizio sull´an debeatur, infatti, non
possono rientrare valutazioni di tipo comparativo tra le condizioni economiche degli ex
coniugi, dovendosi avere riguardo esclusivamente alle condizioni del soggetto richiedente
l´assegno successivamente al divorzio.
Le osservazioni critiche sinora esposte non sono scalfite:
a) né dalla sentenza della Corte costituzionale n. 11 del 2015, che ha sostanzialmente
recepito l´orientamento in questa sede non condiviso, senza peraltro prendere posizione
sulla sostanza delle censure formulate dal giudice rimettente, riducendo quella sollevata ad
una mera questione di «erronea interpretazione» dell´art. 5, comma 6, della legge n. 898 del
1970 e omettendo di considerare che, in una precedente occasione, nell´escludere la
completa equiparabilità del trattamento economico del coniuge divorziato a quello del
coniuge separato, aveva affermato che «[....] basterebbe rilevare che per il divorziato
l´assegno di mantenimento non è correlato al tenore di vita matrimoniale» (sentenza n. 472
del 1989, n. 3 del Considerato in diritto);
b) e neppure dalle disposizioni di cui al comma 9 dello stesso art. 5 - secondo cui: «I
coniugi devono presentare all´udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la
dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro
patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui
redditi, sui patrimoni e sull´effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della
polizia tributaria» -, in quanto il parametro dell´«effettivo tenore di vita» è richiamato
esclusivamente al fine dell´accertamento dell´effettiva consistenza reddituale e patrimoniale
dei coniugi: infatti - se il primo periodo è dettato al solo fine di consentire al presidente del
tribunale, nell´udienza di comparizione dei coniugi, di dare su base documentale «i
provvedimenti temporanei e urgenti [anche d´ordine economico] che reputa opportuni
nell´interesse dei coniugi e della prole» (art. 4, comma 8) -, il secondo periodo invece, che
presuppone la «contestazione» dei documenti prodotti (concernenti i rispettivi redditi e
patrimoni), nell´affidare al «tribunale» le relative «indagini», cioè l´accertamento di tali
componenti economico-fiscali, richiama il parametro dell´«effettivo tenore di vita» al fine,
non già del riconoscimento del diritto all´assegno di divorzio al "singolo" ex coniuge che lo
fa valere ma, appunto, dell´accertamento circa l´attendibilità di detti documenti e
dell´effettiva consistenza dei rispettivi redditi e patrimoni e, quindi, del "giudizio
comparativo" da effettuare nella fase del quantum debeatur. È significativo, al riguardo,
che il riferimento agli elementi del "reddito" e del "patrimonio" degli ex coniugi è
contenuto proprio nella prima parte del comma 6 dell´art. 5 relativa a tale fase del giudizio.
2.3. - Le precedenti osservazioni critiche verso il parametro del «tenore di vita»
richiedono, pertanto, l´individuazione di un parametro diverso, che sia coerente con le
premesse.
Il Collegio ritiene che un parametro di riferimento siffatto - cui rapportare il giudizio
sull´adeguatezza-inadeguatezza" dei «mezzi» dell´ex coniuge richiedente l´assegno di
divorzio e sulla "possibilità-impossibilità «per ragioni oggettive»" dello stesso di
procurarseli - vada individuato nel raggiungimento dell´" indipendenza economica" del
richiedente: se è accertato che quest´ultimo è "economicamente indipendente" o è
effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto.
Tale parametro ha, innanzitutto, una espressa base normativa: infatti, esso è tratto dal
vigente art. 337-septies, primo comma, cod. civ. - ma era già previsto dal primo comma
dell´art. 155-quinquies, inserito dall´art. 1, comma 2, della legge 8 febbraio 2006, n. 54 - il
quale, recante «Disposizioni in favore dei figli maggiorenni», stabilisce, nel primo periodo:
«Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non
indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico».
La legittimità del richiamo di questo parametro - e della sua applicazione alla fattispecie in
esame - sta, innanzitutto, nell´analogia legis (art. 12, comma 2, primo periodo, delle
disposizioni sulla legge in generale) tra tale disciplina e quella dell´assegno di divorzio, in
assenza di uno specifico contenuto normativo della nozione di "adeguatezza dei mezzi", a
norma dell´art. 5, comma 6, legge n. 898 del 1970, trattandosi in entrambi i casi, mutatis
mutandis, di prestazioni economiche regolate nell´ambito del diritto di famiglia e dei
relativi rapporti.
In secondo luogo, il parametro della "indipendenza economica" - se condiziona
negativamente il diritto del figlio maggiorenne alla prestazione («assegno periodico»)
dovuta dai genitori, nonostante le garanzie di uno status filiationis tendenzialmente stabile
e permanente (art. 238 cod. civ.) e di una specifica previsione costituzionale (art. 30,
comma 1) che riconosce anche allo stesso figlio maggiorenne il diritto al mantenimento,
all´istruzione ed alla educazione -, a maggior ragione può essere richiamato ed applicato,
quale condizione negativa del diritto all´assegno di divorzio, in una situazione giuridica
che, invece, è connotata dalla perdita definitiva dello status di coniuge - quindi, dalla piena
riacquisizione dello status individuale di "persona singola" - e dalla mancanza di una
garanzia costituzionale specifica volta all´assistenza dell´ex coniuge come tale. Né varrebbe
obiettare che l´art. 337-ter, quarto comma, n. 2, cod. civ. (corrispondente all´art. 155, quarto
comma, n. 2, cod. civ., nel testo sostituito dall´art. 1, comma 1, della citata legge n. 54 del
2006) fa riferimento al «tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con
entrambi i genitori»: tale parametro si riferisce esclusivamente al figlio minorenne e ai
criteri per la determinazione ("quantificazione") del contributo di "mantenimento", inteso
lato sensu, a garanzia della stabilità e della continuità dello status filiationis,
indipendentemente dalle vicende matrimoniali dei genitori.
In terzo luogo, a ben vedere, anche la ratio dell´art. 337-septies, primo comma, cod. civ. -
come pure quella dell´art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, alla luce di quanto già
osservato (cfr., supra, sub n. 2.2) - è ispirata al principio dell´"autoresponsabilità
economica". A tale riguardo, è estremamente significativo quanto affermato da questa
Corte con la sentenza n. 18076 del 2014, che ha escluso l´esistenza di un obbligo di
mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente (nella specie,
entrambi ultraquarantenni), ovvero di un diritto all´assegnazione della casa coniugale di
proprietà del marito, sul mero presupposto dello stato di disoccupazione dei figli, pur
nell´ambito di un contesto di crisi economica e sociale: «[....] La situazione soggettiva fatta
valere dal figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l´autonomia
economica tramite l´impegno lavorativo, chieda il prolungamento del diritto al
mantenimento da parte dei genitori, non è tutelabile perché contrastante con il principio di
autoresponsabilità che è legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona [....]».
Tale principio di "autoresponsabilità" vale certamente anche per l´istituto del divorzio, in
quanto il divorzio segue normalmente la separazione personale ed è frutto di scelte
definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò
stesso l´accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi - irrilevante, sul piano giuridico,
se consapevole o no - delle relative conseguenze anche economiche.
Questo principio, inoltre, appartiene al contesto giuridico Europeo, essendo presente da
tempo in molte legislazioni dei Paesi dell´Unione, ove è declinato talora in termini rigorosi
e radicali che prevedono, come regola generale, la piena autoresponsabilità economica
degli ex coniugi, salve limitate - anche nel tempo - eccezioni di ausilio economico, in
presenza di specifiche e dimostrate ragioni di solidarietà.
In questa prospettiva, il parametro della "indipendenza economica" è normativamente
equivalente a quello di "autosufficienza economica", come è dimostrato - tenuto conto
della derivazione di tale parametro dall´art. 337-septies, comma 1, cod. civ. - dall´art. 12,
comma 2, del citato D.L. n. 132 del 2014, laddove non consente la formalizzazione della
separazione consensuale o del divorzio congiunto dinanzi all´ufficiale dello stato civile «in
presenza [....] di figli maggiorenni [....] economicamente non autosufficienti».
2.4. - È necessario soffermarsi sul parametro dell´"indipendenza economica", al quale
rapportare l´"adeguatezza-inadeguatezza" dei «mezzi» dell´ex coniuge richiedente l´assegno
di divorzio, nonché la "possibilità-impossibilità «per ragioni oggettive»" dello stesso di
procurarseli.
Va preliminarmente osservato al riguardo, in coerenza con le premesse e con la stessa
nozione di "indipendenza" economica, che: a) il relativo accertamento nella fase dell´an
debeatur attiene esclusivamente alla persona dell´ex coniuge richiedente l´assegno come
singolo individuo, cioè senza alcun riferimento al preesistente rapporto matrimoniale; b)
soltanto nella fase del quantum debeatur è legittimo procedere ad un "giudizio
comparativo" tra le rispettive "posizioni" (lato sensu intese) personali ed economicopatrimoniali
degli ex coniugi, secondo gli specifici criteri dettati dall´art. 5, comma 6, della
legge n. 898 del 1970 per tale fase del giudizio.
Ciò premesso, il Collegio ritiene che i principali "indici" - salvo ovviamente altri elementi,
che potranno eventualmente rilevare nelle singole fattispecie - per accertare, nella fase di
giudizio sull´an debeatur, la sussistenza, o no, dell´"indipendenza economica" dell´ex
coniuge richiedente l´assegno di divorzio - e, quindi, l´"adeguatezza", o no, dei «mezzi»,
nonché la possibilità, o no «per ragioni oggettive», dello stesso di procurarseli -possono
essere così individuati:
1) il possesso di redditi di qualsiasi specie;
2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri
lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza («dimora abituale»: art.
43, secondo comma, cod. civ.) della persona che richiede l´assegno;
3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all´età, al
sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;
4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.
Quanto al regime della prova della non "indipendenza economica" dell´ex coniuge che fa
valere il diritto all´assegno di divorzio, non v´è dubbio che, secondo la stessa formulazione
della disposizione in esame e secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione
del relativo onere, allo stesso spetta allegare, dedurre e dimostrare di "non avere mezzi
adeguati" e di "non poterseli procurare per ragioni oggettive". Tale onere probatorio ha ad
oggetto i predetti indici principali, costitutivi del parametro dell´"indipendenza
economica", e presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni da parte
del medesimo coniuge, restando fermo, ovviamente, il diritto all´eccezione e alla prova
contraria dell´altro (cfr. art. 4, comma 10, della legge n. 898 del 1970).
In particolare, mentre il possesso di redditi e di cespiti patrimoniali formerà normalmente
oggetto di prove documentali - salva comunque, in caso di contestazione, la facoltà del
giudice di disporre al riguardo indagini officiose, con l´eventuale ausilio della polizia
tributaria (art. 5, comma 9, della legge n. 898 del 1970) -, soprattutto "le capacità e le
possibilità effettive di lavoro personale" formeranno oggetto di prova che può essere data
con ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l´onere del richiedente
l´assegno di allegare specificamente (e provare in caso di contestazione) le concrete
iniziative assunte per il raggiungimento dell´indipendenza economica, secondo le proprie
attitudini e le eventuali esperienze lavorative.
2.5. - Pertanto, devono essere enunciati i seguenti principi di diritto.
Il giudice del divorzio, richiesto dell´assegno di cui all´art. 5, comma 6, della legge n. 898
del 1970, come sostituito dall´art. 10 della legge n. 74 del 1987, nel rispetto della
distinzione del relativo giudizio in due fasi e dell´ordine progressivo tra le stesse stabilito
da tale norma:
A) deve verificare, nella fase dell´an debeatur - informata al principio
dell´autoresponsabilità economica" di ciascuno degli ex coniugi quali "persone singole", ed
il cui oggetto è costituito esclusivamente dall´accertamento volto al riconoscimento, o no,
del diritto all´assegno di divorzio fatto valere dall´ex coniuge richiedente -, se la domanda
di quest´ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o,
comunque, impossibilità «di procurarseli per ragioni oggettive»), con esclusivo riferimento
all’indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso, desunta dai principali "indici"
- salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie - del possesso di redditi di qualsiasi specie e/
o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu
"imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza dell´ex coniuge richiedente), delle
capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all´età, al sesso
ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di
abitazione; ciò, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal
richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il
diritto all´eccezione ed alla prova contraria dell´altro ex coniuge;
B) deve "tener conto", nella fase del quantum debeatur - informata al principio della
«solidarietà economica» dell´ex coniuge obbligato alla prestazione dell´assegno nei
confronti dell´altro in quanto "persona" economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost), il
cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell´assegno, ed alla quale può
accedersi soltanto all´esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del
diritto -, di tutti gli elementi indicati dalla norma («[....] condizioni dei coniugi, [....]
ragioni della decisione, [....] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla
conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune,
[....] reddito di entrambi [....]»), e "valutare" «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla
durata del matrimonio», al fine di determinare in concreto la misura dell´assegno di
divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i
normali canoni che disciplinano la distribuzione dell´onere della prova (art. 2697 cod. civ.).
2.6. - Venendo ai motivi del ricorso, da esaminare congiuntamente alla luce dei principi di
diritto poc´anzi enunciati, essi sono infondati.
La sentenza impugnata, nell´escludere il diritto, invocato dalla Lo., all´attribuzione
dell´assegno divorzile, non ha avuto riguardo, in concreto, al criterio della conservazione
del tenore di vita matrimoniale, che pure ha genericamente richiamato ma sul quale non ha
indagato.
In tal modo, la Corte di merito si è sostanzialmente discostata dall´orientamento
giurisprudenziale in questa sede criticato, come rilevato dal P.G., e tuttavia è pervenuta a
una conclusione conforme a diritto, avendo ritenuto - in definitiva - che l´attrice non avesse
assolto l´onere di provare la sua non indipendenza economica, all´esito di un giudizio di
fatto - ad essa riservato - adeguatamente argomentato, dal quale emerge che la Lo. è
imprenditrice, ha un´elevata qualificazione culturale, possiede titoli di alta specializzazione
e importanti esperienze professionali anche all´estero e che, in sede di separazione, i
coniugi avevano pattuito che nessun assegno di mantenimento fosse dovuto dal Gr..
La motivazione in diritto della sentenza impugnata dev´essere quindi corretta (come si è
detto sub n. 2.1), coerentemente con i principi sopra enunciati (sub n. 2.5, lett. A).
3. - In conclusione, il ricorso è rigettato.
Le spese del presente giudizio devono essere compensate, in considerazione del
mutamento di giurisprudenza su questione dirimente per la decisione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Doppio contributo a carico della ricorrente, come per legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati
identificativi.

11 maggio 2017